TREVISO - «Che si arrangino non ne voglio più sapere nulla». Mohamed Fikri, il piastrellista marocchino di 26 anni, unico indagato per la morte di Yara Gambirasio fino all'arresto di Massimo Bossetti, è in piedi, appoggiato ad una colonna fuori dall'ufficio immigrazione della questura di Treviso. È in coda per chiedere il rinnovo del suo permesso di soggiorno. Ha i capelli curati, un giubbino elegante e scarpe di marca addosso.
Dopo l'evoluzione dell'inchiesta che ha portato all'arresto del muratore di Mapello, il cui Dna è stato trovato sul corpo della tredicenne scomparsa a novembre 2010 a Brembate, può tornare a sorridere. Ma non lo fa. E non ne ha nessuna intenzione. «Mi sento marchiato, questa storia mi ha rovinato. Non riesco neppure a trovare lavoro, né in Italia né all'estero. Quando è stato arrestato Bossetti, in Marocco i giornali hanno scritto che ero appena stato scarcerato».
Proprio per questa ragione ha lasciato la Marca, dove risulta ancora residente per trasferirsi a Piacenza. L'inchiesta ha stabilito che lui non ha nulla a che fare con la morte della ragazzina. Fikri si era trovato al centro delle indagini per una frase che aveva detto alla sorella mentre il suo telefono era intercettato. Un errore di traduzione aveva fatto credere agli inquirenti che si trattasse di un'ammissione di responsabilità ed era stato sufficiente a far scattare l'arresto.
Ora per Fikri è giunto forse il momento di chiedere conto di quell'ingiusta carcerazione: «Deciderò cosa fare e se chiedere un risarcimento».