Zaia a imprese e Bankitalia
«Serve una banca per il Veneto»

Domenica 27 Settembre 2015 di Roberto Papetti
Luca Zaia, presidente della regione Veneto
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«Noi oggi siamo di fronte a uno spartiacque: scegliere se lasciare andare alla deriva il nostro sistema di credito e consegnarlo a qualcuno altro o mantenere una banca di riferimento regionale, partendo dall'unione di Veneto Banca e Popolare di Vicenza«. Luca Zaia si gira fra le mani un appunto su cui sono appuntate alcune cifre. «Partiamo dai numeri. Popolare di Vicenza ha emesso 93milioni e 803mila azioni e ha 116 mila soci, Veneto Banca di azioni ne ha emesse 124milioni e ha 88mila soci».



Governatore, dove portano questi numeri?

«Innanzitutto, ed è l'aspetto che come presidente del Veneto più mi inquieta e preoccupa, ci porta a dire che ci sono migliaia di risparmiatori che pensavano di aver acquistato un bene rifugio, sicuro nel tempo e si ritrovano invece tra le mani titoli destinati a perdere molto del loro valore. Già i recenti riallineamenti delle quotazioni decisi autonomamente dalle nostre due popolari hanno determinato una perdita di 2,5 miliardi, ma è inevitabile che con l'ingresso in Borsa ci saranno altre, consistenti perdite».



Una quota enorme di ricchezza che va in fumo.

«Sì, un conto carissimo per l'economia e le famiglie venete. Ma vorrei fosse chiaro: la quotazione in Borsa è un passaggio necessario».



Lei è dunque d'accordo con la riforma delle banche popolari voluta dal governo Renzi?

«L'idea che ci siano quotazioni che si formano fuori da un mercato libero è irrituale e pericolosa. L'ho sempre pensato e sempre detto. Per questo sono d'accordo con l'ingresso in Borsa delle banche popolari: è necessario che si formi un prezzo in modo trasparente e questo non può avvenire che sul mercato azionario. Ma è sbagliato aver fatto una riforma così violenta, senza i tempi necessari, che non prevede un percorso di accompagnamento e un atterraggio morbido».



Lei parla di prezzo trasparente delle popolari. Finora non lo è stato?

«Io sono anche un piccolo socio sia di Veneto Banca sia di Popolare Vicenza, ma da anni sostengo che per entrambe le banche sarebbe stata necessaria una riflessione per capire se il valore dell'azione rifletteva il vero valore della banca, a maggior ragione dopo la crisi finanziaria del 2007. L'avessimo fatto, forse oggi non saremmo in questa situazione. Ma questo è solo un aspetto della vicenda».



L'altro qual'è?

«I sospetti di "mala gestio" e le inchieste della magistratura. Perchè una cosa è il discorso del valore della banca, l'altro sono le indagini giudiziarie. Sono temi che oggi si intersecano, ma che per certi versi potrebbero essere considerati separatamente. Se verrà confermato che si facevano aumenti di capitale finanziando con i soldi della banca gli azionisti e garantendo loro anche una plusvalenza, siamo di fronte a fatti di estrema gravità, che però prescindono dalla sopravvalutazione dei titoli. Anche per questo chiedo che si faccia rapidamente chiarezza, non possiamo permetterci che queste inchieste anneghino nella notte dei tempi, anche nel rispetto dei risparmiatori e delle persone coinvolte. A ciò si deve poi aggiungere un ragionamento sui controlli e in controllori».



Cioè sul ruolo di vigilanza della Banca d’Italia?

«Esatto. Lo dico con il dovuto rispetto, ma ho l'impressione è che il sistema di controllo di Bankitalia non abbia funzionato come doveva. Tutti ricordiamo che due-tre anni fa Bankitalia spingeva per la fusione tra le due popolari venete, facendo capire che il sano avrebbe curato anche il malato, cioè che la Popolare di Vicenza avrebbe curato e salvato Veneto Banca. Mi sembra che qualcuno abbia scritto pagine di storia fuori dalla realtà».



Oggi però è lei da Governatore del Veneto che rilancia l'ipotesi della fusione tra queste due banche popolari.

«Un territorio come il Veneto non può non pianificare di avere un polo bancario di riferimento. Non è un fatto di identità o di orgoglio, è un'esigenza vitale. Un sistema con 600mila imprese deve avere un interlocutore creditizio che stia al suo fianco, ne conosca bisogni e capacità di sviluppo. Tra tanto clamore, anche giudiziario, non vorrei si dimenticasse che queste due banche sono state loro stesse protagoniste del fenomeno Veneto e della nascita di una delle aree manifatturiere più dinamiche d'Europa. Quale sarà l'epilogo non lo so, ma la storia delle popolari è anche una storia positiva, di contributo alla crescita del nostro territorio».



Per avere una banca c'è una strada chiara: trovare i capitali e comprare le azioni.

«Esatto. La fusione tra Popolare Vicenza e Veneto e, più in generale, la creazione di un polo bancario veneto è legata a due condizioni. La prima è una non ostilità di Bankitalia a questo progetto e penso che ragionevolmente l'istituto centrale dovrà valutare la situazione. La seconda e imprescindibile condizione è che su territorio si coaguli un nucleo di investitori che poi acquistino le azioni in Borsa».



Perché non prima della quotazione in Borsa?

«Perchè pare scontato che solo a quel punto avremo un valore certo, inoltre spero che a quel punto si saranno chiarite anche tutte le vicende giudiziare».



Dunque lei auspica che si formi un nocciolo duro di soci veneti che, una volta avvenuta la quotazione, assuma il controllo della banca. Un'operazione impegnativa anche dal punto di vista finanziario: parliamo di diverse centinaia di milioni.

«Sì, lo so, ma il percorso non può che essere questo. Aggiungo che, per quanto la legge ci consente, anche la finanziaria regionale è pronta a fare la sua parte. E' però ovvio che a crederci e investire devono essere innanzitutto le forze imprenditoriali».



Non ha mai citato il Banco Popolare, lo considera fuori da questa partita?

«No affatto, anche il Banco è un player e potrebbe rappresentare un punto di partenza certo, ma è la Banca d'Italia che dà le carte non il governatore del Veneto. A me interessa che si raggiunga l'obiettivo, cioè che questo territorio continui ad avere una banca di riferimento».
Ultimo aggiornamento: 11:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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