I supplizi dei dannati a Torcello,
l'Inferno che ispirò Dante

Martedì 18 Agosto 2015 di Alessandro Comin
I supplizi dei dannati a Torcello, l'Inferno che ispirò Dante
VENEZIA - Il mosaico delle tentazioni di Cristo a San Marco, "cinematografico" nel suo sviluppare la scena in tre momenti. Il Giudizio universale e il Giuda di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, consigliato e quasi fisicamente sorretto dal Maligno alle sue spalle. E i supplizi dei dannati a Torcello, probabile ispirazione della struttura dell'Inferno dantesco.



Sono nel Veneto tre delle più plastiche rappresentazioni medievali del Male, accuratamente analizzate da Laura Pasquini nel libro "Diavoli e inferni nel Medioevo - origine e sviluppo delle immagini dal VI al XV secolo", edito dalla padovana Il Poligrafo: un lavoro che si può leggere (e guardare) come un romanzo avvincente anche per la ricchezza e la potenza delle illustrazioni, inquietante compendio delle paure dei secoli bui. Quelli nei quali, inizialmente rappresentato sotto le spoglie di una lunga teoria di animali infidi, il Demonio spaventa di più facendosi contemporaneamente sempre più mostruoso e più pericolosamente vicino all'umano nei tratti.



Da Aosta a Ravenna, da Stoccarda a Dublino, da Treviri a Monreale non c'è luogo, nell'Occidente, che non abbia imbottito le sue cattedrali, i suoi portali, i suoi codici miniati con rappresentazioni del Maligno e dell'Inferno. Di certo, però, l'"organizzatore sistematico" dell'iconografia fu non uno scultore, non un pittore, non un maestro di mosaici, ma un poeta, che immaginò e cantò il regno dei dannati. Dante, uomo profondamente calato nel suo tempo, vide personalmente o venne a conoscenza di molte raffigurazioni. E sono plausibilissime una o più sue visite a Torcello, essendo accertata la sua presenza a Venezia e a Treviso tra il 1304 e il 1306.



Sulla Laguna come ispirazione per la Commedia si era già espresso 110 anni fa lo studioso Cesare Augusto Levi, ma Pasquini razionalizza l'ipotesi sfrondando ogni enfasi e valutando "scientificamente" gli indizi. Così, nel mosaico del Giudizio universale della basilica di Santa Maria Assunta, l'area infernale è suddivisa in sei scomparti, sette se si conta anche quello del trono di Lucifero: spunti per i gironi. Alcuni dannati si mordono come gli iracondi, teschi e membra galleggiano nell'oscurità come gli accidiosi nello Stige. E se il fiume di fuoco è un'immagine molto diffusa nell'iconografia medievale, il vicino fiume di ghiaccio, assai più raro, è forse l'archetipo del Cocito, il lago gelato della Commedia dove il poeta conficcherà Lucifero e le sue tre teste.

A Torcello l'angelo ribelle è invece tra le fiamme: ma a Dante occorreva una rappresentazione meno ingenua e coerente con la sua visione teologica, quella di un'Anti-Trinità più profonda e terribile.



Dal poema, gli artisti d’Europa trarranno poi nuova linfa per le loro raffigurazioni. L'incubo è ai vertici ma, come nota acutamente Gian Mario Anselmi nell'introduzione al volume, nonostante la successiva stretta della Controriforma si sta avviando già alla risoluzione nei caratteri più fallibili e grotteschi che i diavoli assumeranno, subito con Boccaccio e poi con Machiavelli e Bosch. Fino a giungere alla consapevolezza moderna, e per nulla consolatoria, che l'Inferno è tra noi, sulla terra, legatissimo agli uomini e alla dimensione laica del presente.
Ultimo aggiornamento: 11:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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