Zaia: «Dopo la Scozia tocca al Veneto
e da noi ora vincerebbero i sì»

Sabato 20 Settembre 2014 di Paolo Francesconi
Zaia con Salvini alla presentazione del referendum
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VENEZIA - «Il referendum della Scozia è un passaggio epocale: ha fatto crollare il tabù del referendum, ha cambiato il modo di guardare all’indipendenza e all’autonomia, anche solo rispetto ad un anno fa. Chiedere di potersi esprimere adesso è normale. O meglio: così dovrebbe essere. Dato che in Italia questo legittimo diritto non è consentito». Luca Zaia, governatore del Veneto, ha un motivo di interesse in più verso i seggi scozzesi perché a giugno il Consiglio regionale ha approvato due leggi, entrambe impugnate dal governo davanti alla Corte costituzionale, per celebrare le consultazioni popolari una per l’autonomia, l’altra per l’indipendenza del Veneto.



Dopo il 55 a 45 per il No sono subito partiti i commenti tipo "Visto? Avete già perso, voi veneti che vi agitate a fare?".

«È vero il contrario: ha vinto il modello per cui il popolo può esprimersi. Londra ha combattuto l’iniziativa, perfino la Regina stavolta ha detto "pensateci bene". Ma alla fine il referendum si è tenuto. Quella è democrazia. Alla modernità della Corona corrisponde, in Italia, il grande ostracismo dei Borboni. Stanno facendo una tragedia solo perchè una regione ha chiesto di consultare i cittadini, a costo zero per le casse pubbliche».



Per il No si è scatenato un movimento poderoso, interventi di premier stranieri, Obama, allarmi dei mercati, campagne basate sulla paura del disastro in caso di vittoria del Sì...

«Infatti, è strepitoso il risultato scozzese. E dopo la Scozia c’è il Veneto. Poi viene la Catalogna. Il Veneto va avanti per la sua strada ancora più motivato. Difenderò fino in fondo i due referendum davanti alla Consulta e il chiaro mandato assegnatomi, con lungimiranza, dal Consiglio».



Si aspettava l’esito scozzese?

«Non ho avuto grosse sorprese. Gli scozzesi hanno fatto le cose seriamente e, nonostante abbiano alle spalle una storia di secoli, ci sono arrivati per un pelo. Un referendum così, per quanto "solo" consultivo, non è faccenda puramente giuridica, ma anche culturale. Lo dico ai referendari "fai da te" e a quelli faciloni. Quando il gioco si fa duro, si muovono anche i No. Tutto questo ci motiva ancora di più, ma dobbiamo essere consapevoli che il referendum non è un jukebox. La macchina del No messa in piedi dalla comunità internazional-finanziaria va studiata».



All’inizio Londra ha liquidato l’istanza secessionista, l’ha derisa, infine è scesa a patti: "Restate con noi e vi faremo concessioni". Se Roma facesse una proposta del genere, cosa risponderebbe?

«Se qui si fosse tenuto il referendum e avesse vinto il No, lo Stato italiano avrebbe detto: "Adesso vi facciamo morire", scatterebbe la vendetta. Non credo più che in Italia si possa avere più autonomia. Si sono persi tutti i treni. La prima cosa che ha fatto il premier Cameron è stata chiamare il leader Alex Salmond e dire: "Apriamo il tavolo, entro gennaio la devolution. Anche per Galles e Irlanda". La Gran Bretagna ha capito che le conviene muoversi verso un sistema federale. Il modello centralistico non è adeguato al XI secolo».



Se si votasse oggi, in Veneto come finirebbe?

«Sono convinto che l’area del Sì è maggioritaria, ma non dobbiamo dare nulla per scontato, va consolidata. Appena parti spuntano i titubanti, i paurosi».



Quindi vincerebbe il Sì?

«In Veneto la somma del sentimento indipendentista e di quello autonomista è quasi totalitaria. Il Veneto si sente colonia, periferia lontana di uno Stato da cui non ha avuto risposte, a cui dà molto, tra i 20 e i 30 miliardi di residuo fiscale. L’indipendentismo ha un nocciolo duro identitario-culturale "a prescindere". Poi c’è un’area importante di "seconda generazione", composta da quanti prendono coscienza che l’unica via d’uscita è l’indipendenza. Infine, c’è un’area "grigia" che sfuma nell’autonomia o in forme estreme di federalismo».



Intanto il governo a luglio ha fatto approvare la riforma del titolo V...

«Ecco, appunto. Sono anni che Roma va in direzione opposta. Il centralismo è iniqua divisione del malessere, il vero federalismo è equa divisione del benessere. Non ci sono tante alternative: uno Stato o va verso l’autodistruzione o fa scelte come la Germania che è essa stessa una macroregione al cui interno ha saputo far convivere realtà diverse».



Il voto scozzese cambierà la carta dell’Europa?

«Non ho dubbi. Muterà gli stessi confini».



Torniamo al Veneto. Leader indipendentisti dicono: la legge è valida, non aspettate la Consulta, subito al voto.

«Capisco l’entusiasmo, ma ho l’obbligo di dire al popolo come stanno le cose. Il referendum costa 14 milioni, non vedo code di gente a portarli. Se non si raggiunge una cifra minima, bisogna restituire i soldi. Ci sono tanti aspetti, li stiamo affrontando. Non è una passeggiata».



Quindi?

«Quindi faremo un percorso a tappe di avvicinamento, unaroad map talmente chiara e definita che per lo Stato il sentiero si stringerà ogni giorno di più. Sono un indipendentista pragmatico che vuol far le cose per bene. In stile Salmond. Scozia docet. Yes».
Ultimo aggiornamento: 14:01
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