Pd, De Menech "scampa" il processo
Traghetterà il partito al congresso

Sabato 4 Luglio 2015 di Paolo Francesconi
Pd, De Menech "scampa" il processo Traghetterà il partito al congresso
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Il Pd veneto imbocca la strada del congresso straordinario, Roger De Menech e la segreteria del Pd veneto, già dimissionari per il tracollo alle Regionali, escono vivi dal "processo", che più di tanto processo non è stato, della direzione regionale convocata nel pomeriggio a Padova per svolgere quella discussione rimasta sospesa il 22 giugno.

Il passo indietro ribadito dal segretario e dal vertice veneto ha soddisfatto i tanti, tra cui il deputato Davide Zoggia, che l’avevano chiesto come «segnale di chiarezza e di messaggio ricevuto», insomma come condizione per andare avanti. Le dimissioni sono lì, non sono state nè respinte nè accettate, anzi durante un dibattito durato dalle 16.30 alle 21 e però "avaro di emozioni" non se ne è parlato neanche più di tanto, gli interventi dedicati soprattutto ad analizzare le cause del ko e le proposte per ripartire. Non sono venuti allo scoperto componenti o gruppi che abbiano espresso punti di vista radicalmente diversi da quelli della segreteria. Lo stesso De Menech volutamente non ha presentato documenti. Ma dal complesso degli interventi - tutti i big hanno preso la parola - è emerso un possibile percorso che verrà formalizzato in un’altra direzione o con la convocazione di un’assemblea regionale, entro fine luglio.

Il percorso, a grandi linee, è questo: toccherà probabilmente a De Menech guidare il Pd all’approdo del congresso straordinario regionale, la cui data più probabile sono i primi mesi del 2016, per quanto ci sia chi preme per anticiparlo a fine anno. Non lo traghetterà, però, da solo. Ma coadiuvato da una segreteria allargata (ieri i civatiani hanno confermato le loro dimissioni) a tutte le componenti, dai giovani turchi (Naccarato) all’area popolare (Santini), bersaniani ovviamente compresi. De Menech alla fine era sollevato: «Sì perchè non si è discusso di persone ma di temi. Sono state tolte di mezzo le questioni personali e collocato al centro il percorso. Chi guiderà la gestione transitoria non è un problema, non ne faccio in alcun modo una faccenda personale».

L’altro dato politico della direzione di ieri è che non è passata invece la soluzione del commissariamento del partito. A chiederlo è stato soltanto il parlamentare Gianni Dal Moro. È rimasto isolato. Di fatto, l’ipotesi commissario - partito affidato ad un esterno, quasi certamente Debora Serracchiani - ha spaventato i più. Uno strappo così forte infatti avrebbe timbrato il fallimento non solo della segreteria De Menech ma dell’intera classe dirigente del Pd veneto. Soprattutto, con un commissario come la Serracchiani, per i big veneti, i margini di manovra in prospettiva congresso sarebbero stati quasi azzerati. Nei giorni scorsi la segreteria nazionale, cioè Matteo Renzi, ha già avuto modo di chiarire il suo pensiero: non vuole "casini" in Veneto nè congressi troppo ravvicinati - nella prossima primavera andrebbe bene - con relativi bagni di sangue. Anche i parlamentari veneti, quelli che da Venezia a Vicenza, dalla Bassa padovana a Treviso, in questa fase hanno rumoreggiato di più per cercare di guadagnare spazi di influenza e controllo sul partito con l’occhio alle prossime elezioni Politiche, dovrebbero accettare il compromesso in via di rifinitura. Certo, sulla data del congresso e sulle modalità di voto, le divergenze restano. La deputata Simonetta Rubinato tra le più dure, all’indomani del voto, nel chiedere le dimissioni del segretario dice che così può andare: «Non ho preclusioni nell’affidare la reggenza a De Menech purchè si arrivi ad un congresso vero, al massimo ad ottobre, con regole che favoriscano la partecipazione».
Ultimo aggiornamento: 11:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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