A Nordest il dialetto resiste ma si
parla più in famiglia che al lavoro

Martedì 18 Novembre 2014 di Natascia Porcellato
(archivio)
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VENEZIA - «Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà», sosteneva Pier Paolo Pasolini, fervente sostenitore dell’idioma locale come segno di ciò che è ancora puro.

L’Osservatorio sul Nordest, curato da Demos per Il Gazzettino, indaga questa settimana intorno all’uso del dialetto: oggi il 70% degli intervistati lo parla molto o abbastanza spesso in famiglia, mentre il 68% lo fa con la stessa frequenza con gli amici. Molto più contenuta la quota di quanti lo usano al lavoro (35%). Rispetto al 2001, è proprio quest’ultimo il settore in cui il dialetto appare più in crisi. Infatti, se per l’uso all’interno delle reti familiari e amicali i segni negativi si fermano rispettivamente a -4 e -11 punti percentuali, in ambito lavorativo il saldo scende fino a -22 punti percentuali. La contrazione dell’uso dialetto, dunque, appare diffusa. Sarà per questo che, negli ultimi 3 anni, la quota di quanti lo vorrebbero tra le materie scolastiche è arrivata al 38% (più 9 punti percentuali).

Proprio oggi il taliàn - variante del dialetto veneto molto parlata in diverse città del Sud del Brasile, negli stati di Santa Catarina, Paraná e Rio Grande do Sul - diventa ufficialmente «lingua riconosciuta» e «patrimonio immateriale del Brasile». Il taliàn è la prima lingua minoritaria brasiliana a ottenere questo riconoscimento e, con questo gesto, il Paese sudamericano mette in luce anche l’importanza del contributo degli emigranti che sono giunti lì da Veneto e Friuli-Venezia Giulia.

Mentre in Brasile il taliàn diventa una lingua riconosciuta, nelle terre di partenza degli immigrati che l’hanno portato oltreoceano l’uso della lingua locale sembra essere in crisi, specie nella sfera amicale e lavorativa. Le persone che parlano molto o abbastanza spesso dialetto con i colleghi di lavoro sono oggi il 35%: era il 57% circa nel 2001. Nel contesto amicale, l’uso del dialetto appare più diffuso: circa il 68% lo preferisce all’italiano, ma nel 2001 la quota era più ampia di circa 11 punti percentuali (79%).

È in famiglia che il dialetto sembra mantenersi piuttosto stabile nel tempo: nel 2001 il 74% lo utilizzava frequentemente, mentre oggi è il 70%. Il saldo è negativo, ma il complesso della serie storica porta a ipotizzare delle oscillazioni, più che un declino.

Chi tende a utilizzare più il dialetto tra le pareti domestiche? Le persone con oltre 45 anni, in possesso di un livello di istruzione basso, residenti in paesi con meno di 15mila abitanti parlano più spesso dialetto in famiglia. Guardando alla professione, invece, possiamo rilevare come le persone che lo usano in casa siano in misura maggiore operai, casalinghe, disoccupati e pensionati. Rileviamo, però, come siano i giovani con meno di 25 anni e gli studenti i settori sociali in cui l’utilizzo del dialetto scende sotto la soglia della maggioranza assoluta (rispettivamente: 43 e 41%), mostrando una visibile separazione generazionale.

Ma come è possibile trasmettere il dialetto? Quanti ritengono che possa essere imparato veramente solo in famiglia sono scesi dal 67% del 2011 all’attuale 60%, mentre coloro che lo vorrebbero tra le materie scolastiche sono saliti dal 29% al 38%. La quota, inoltre, tende ad allargarsi ulteriormente tra le persone che già lo parlano in casa (43%), suggerendo l’idea che sia la famiglia stessa ad avvertire la necessità di un aiuto nel compito di rendere le persone "padrone di tutta la propria realtà".
Ultimo aggiornamento: 13:34
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