L'ex gelataio diventato sacerdote
Don Giancarlo cambia gusto alla vita

Martedì 2 Giugno 2015 di Alessandra Betto
PORDENONE - don Giancarlo Parutto
CLAUT - Domenica 31 ha celebrato la prima messa a Claut (Pordenone), suo paese natale, perché il giorno prima era stato ordinato sacerdote. Sebbene rientri nella categoria delle «vocazioni adulte», con il suo entusiasmo e la sua serenità don Giancarlo Parutto, 52 anni, è la dimostrazione concreta del fatto che l'età non costituisce un ostacolo quando si vuole consacrare la propria vita a Dio e alla comunità, anche se fino a qualche anno prima ci si è dedicati ad altro: l'imprenditore artigiano.



Da gelataio a sacerdote: come mai un passo così importante in età matura?

«In realtà non è tardiva, ma risale a quando, ventiduenne, ricevetti la prima chiamata del Signore. Già allora desideravo entrare in seminario, ma per vari motivi (familiari ed economici) ho scelto una strada diversa. Questa inclinazione, quindi c'era già e mi ha sempre accompagnato durante gli anni in cui in Germania, assieme a mia sorella e a mio cognato, facevo il gelataio, prima come dipendente e dopo come contitolare di azienda. Si lavorava tanto, da mattina a tarda notte, tutti i giorni senza sosta, ma ho sempre trovato lo spazio da dedicare alla preghiera e agli altri. Tutto ciò mi faceva stare bene. Non ho mai smesso di essere un buon cristiano e ho sempre espresso una certa sensibilità nei confronti del prossimo».



Quando e come è nata la sua vocazione?

«Inizialmente non è stato un segnale semplice da decifrare. Sentivo una spinta forte verso la religione, ma non sapevo cosa fare e interrogavo il Signore per capire che cosa si aspettasse da me. A volte la vita ti costringe a compiere valutazioni diverse. Non avevo una famiglia agiata in grado di supportarmi. Dopo il biennio di studi all'istituto professionale di Arba, giunsi alla conclusione che dovevo necessariamente trovare un'occupazione, ma il cassetto che conteneva il mio sogno è sempre rimasto aperto. A un certo punto, circa nove anni fa, questa certezza è diventata granitica. Un lungo periodo di malattia e un incidente mi hanno spalancato definitivamente gli occhi: la sofferenza degli altri, più che la mia, mi ha dato la spinta decisiva. Non è stato facile mollare tutto: mio cognato e mia sorella sono rimasti molto sorpresi, ma poi hanno capito. Mi sono preso un anno sabbatico e ho intrapreso il percorso utile a raggiungere un buon discernimento spirituale. Da lì è venuto tutto il resto. La vita non è solo brio, fascino e divertimento».



Mai un dubbio, un rimpianto?

«Dopo il momento della svolta mai. Non ho avuto incertezze, anche se non sono mancati i momenti difficili, specialmente la malattia di mia madre Carlotta che oggi ha 89 anni. Non sono mai stato George Clooney, ma quando ero in Germania non mi sono mancate le occasioni per pensare di crearmi una famiglia mia. Non l'ho mai fatto, perché sapevo bene che non era quello che realmente desideravo. Io volevo donarmi completamente a una realtà ben più grande: una famiglia naturale non me l'avrebbe consentito, perché avrebbe rappresentato sempre una priorità. In ogni paese della provincia di Pordenone dove ho prestato il mio servizio, l'affetto espresso dalle persone mi ha fatto capire che era il modo in cui Dio mi voleva comunicare il suo amore. Era questa la famiglia che desideravo».



Quali sono state le sue figure di riferimento?

«Sono tante le persone che vorrei ringraziare, in primis don Davide Corba (presidente della Caritas), quando in giovane età era parroco di Claut: egli mi ha accompagnato dall'inizio del mio cammino; il mio primo padre spirituale, ora cappuccino e don Ruggero Mazzega il parroco che da un anno e mezzo ho la fortuna di affiancare».



Come si spiega la crisi delle vocazioni?

«Nella nostra provincia anche se non è certamente fiorente, negli ultimi anni si può cogliere un timido segnale di risveglio. Cresce nelle persone l'interesse di approfondire la propria fede. Purtroppo, molti giovani si perdono dietro alle futilità: il telefonino e il computer dominano il loro quotidiano, ma sono soltanto aspetti fugaci che alla fine non lasciano nulla. Quanto in realtà contano a fronte dell'amore che puoi ricevere dalla gente?».



Che persona sarebbe stata se non avesse trovato la forza e il coraggio di diventare sacerdote?

«Mi sarei sentito monco. Sono dispiaciuto soltanto del fatto che mia madre non può, per motivi di salute, partecipare alla giornata della consacrazione e alla mia prima messa. Si è tutti un po’ bambini e Dio è anche mamma: non abbandona mai il proprio figlio e lo accompagna lungo l'evolversi della vita che non si sa mai che cosa possa riservare».
Ultimo aggiornamento: 3 Giugno, 18:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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