Nessun reato, ma il caso D’Alema mostra i costumi della nostra politica

Sabato 4 Aprile 2015
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Caro direttore,

considero Massimo D'Alema uno dei personaggi politici più antipatici anche se forse uno dei più preparati. Trovo che abbia ragione quando protesta per essere stato chiamato in causa nell'inchiesta sulle malefatte del sindaco di Ischia senza aver commesso alcunché. Alla fine il protagonista del caso giudiziario è diventato lui che non è in alcun modo indagato. Non è giusto né civile.




Angelo Tavan

Padova



Caro lettore,

Massimo D'Alema ha ragione quando afferma che gli atti giudiziari dovrebbero contenere notizie di reato e non altro e che chi non è indagato dovrebbe essere maggiormente salvaguardato. Troppo spesso si ha la sensazione che alcuni episodi vengano resi pubblici e alcuni nomi inseriti nella carte soprattutto con l'obiettivo di suscitare clamore attenzione mediatica intorno all'inchiesta. Occorre, da un lato, trovare il giusto equilibrio tra esigenze investigative e di informazione e il diritto alla privacy, e dall'altro fissare regole chiare anche per gli stessi magistrati. All'onorevole D'Alema andrebbe però fatto anche notare che non è neppure normale che una cooperativa "rossa" compri centinaia di copie del libro scritto da un leader di partito o scelga, tra i molti produttori di vino, di approvvigionarsi proprio dalla cantina dello stesso leader. Sia ben chiaro: non si tratta di argomenti da tribunale o da inchiesta giudiziaria: una cooperativa è libera di acquistare ciò che vuole e il libro e vino dell'ex presidente del Pd sono prodotti di qualità. Ma se l'autore del libro e il proprietario della cantina invece che D'Alema si fosse chiamato Bianchi, quella cooperativa sarebbe stata cosi solerte nei suoi acquisti? Questa domanda non c'entra nulla con l'inchiesta che ha condotto in carcere il sindaco di Ischia, ma forse ha qualche relazione con i costumi della nostra politica.

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