Quel debito verso gli “angeli”
dell'ospedale di Mirano

Sabato 1 Agosto 2015
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Caro Direttore

ho aspettato 20 mesi da quella notte, prima di scrivere queste righe. Ho scelto di attendere, perchè volevo ricordare queste persone dopo aver condensato le emozioni e le paure di quella settimana che mi ha cambiato la vita. La mia memoria ora mi ripropone fotografie di attimi ed eventi che nel mio cervello scorrono ad alta definizione.

Prima foto: 23 novembre 2013, io seduto su una sedia della sala d'attesa del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'Ospedale di Mirano, provincia di Venezia. A Mirano ci sono nato, e dopo 17 anni passati all'estero, io e Vivien abbiamo deciso che Valentina nasca qui. La gestosi ha attaccato il corpo di Vivien da 5 giorni. Due ore fa Vivien è entrata in blocco renale, si sta gonfiando ed è gialla. Seconda foto: io che scatto in piedi, quando, alle 17 in punto, sento un grido acutissimo, quasi da gattina arrabbiata, e capisco che Valentina è fra noi. Terza foto: questo esserino minuscolo che esce dalla sala già in incubatrice, dove resterà per un mese, dormendo poco e fissando con questi occhi enormi ed inquisitori che solo i prematuri hanno, le infermiere che la intubano e la cambiano ogni giorno.

Quarta foto: Vivien, due ore dopo il parto, mentre ci stringiamo le mani, che diventa tutta bianca e mi guarda stranita, come per dirmi che se ne sta andando, ma non lo ha deciso lei. Poi la quinta foto, che è sbiadita, che raccoglie la settimana più densa di paura della mia vita, passata fra Ostetricia e Terapia Intensiva, a trovare prima Valentina e poi Vivien che rimane in coma, dopo tre operazioni ed otto litri di sangue trasfusi in una notte. Sesta foto, quella che porterò con me, sempre: quella di questi Angeli in camice verde, da chi pulisce il corridoio, ai medici ed agli infermieri dei due reparti, che mi sostengono con gli sguardi per tutta la durata di questo incubo. Settima foto: quando tutto è finito, quando Vivien, in sedia a rotelle, stringe questo minuscolo esserino dalla faccia strafottente. Ottava foto: io che porto in corsia, alle 9 di sera, un bicchierino di Tiramisu’ dalle dimensioni microscopiche e lo porgo a Francesco Fi Giovanni, chiedendo se gradisca. Lui che, con questo sorriso da Arcangelo Gabriele ed accento siciliano, mi dice:
«Lo tengo per dopo, lo divido col mio Team». Nona ed ultima foto: Valentina che ora, mentre scrivo qui da Londra, mi guarda con sulle spalle uno zainetto di Peppa Pig nel suo incomprensibile italiano-inglese pronuncia una frase di due minuti, di cui capisco solo «Papà. Mio».

Dicono che non sia bello avere debiti nella vita. Io il mio debito con quegli Angeli lo coltivo e me lo godo. Un giorno glielo spiegherò che sì, ha un papà ed una mamma tutti suoi. Ma ne ha cento altri in quel piccolo, straordinario reparto di un ospedale della campagna veneziana.


Enzo Zangrilli



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Caro lettore,

grazie per la sua bella, intensa e appassionata testimonianza. La pubblico e basta. Ogni parola in più sarebbe di troppo.

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