Baby squillo, la condanna deve
andare oltre quella dei giudici

Venerdì 4 Luglio 2014
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Caro direttore,

in questi giorni la televisione e la stampa danno, giustamente, grande spazio a un fenomeno che non esito a definire turpe. Bene ha fatto la magistratura a rendere pubblici i nomi di tutti gli accusati infliggendo loro pene severissime, trattandosi di ragazzine minorenni, ma la cosa che mi ha sconvolto di più è che tra gli imputati c'è la madre di una di queste ragazzine che arrivava addirittura a impossessarsi del denaro che i clienti pagavano per andare con la figlia. Per me questa è una delle cose più aberranti.



Qualcuno dirà che sono esagerato o un bacchettone: la cosa non mi tocca minimamente. Sapevo che c'era gente che andava all'estero, in paesi molto poveri per approfittare di bambine più che minorenni, ma non credevo che cose simili si verificassero anche in Italia, a Roma in un quartiere bene, ai Parioli, e che i clienti fossero personaggi non solo facoltosi ma che ricoprivano cariche di responsabilità.




Luigi Cavinato

Mestre





Caro lettore,

lei non è né bacchettone né esagerato. Esprime un senso di disgusto che, per fortuna, è ancora comune a tante persone. Purtroppo però, molto spesso, l'indignazione dell'opinione pubblica, anche di fronte a vicende turpi come questa, è a tempo. Esplode con violenza, poi altrettanto rapidamente finisce nel dimenticatoio. E i protagonisti li ritroviamo magari in televisione, in qualche talk-show a narrare disinvoltamente le loro sventure.



Credo sia sbagliato. Tutti, è vero, hanno diritto al perdono e all'oblio. Ma chi si macchia di reati infami, come quello di violentare con un pugno di denari l'adolescenza di una ragazzina, dovrebbe scontare una duplice pena. Quella prevista dalla giustizia e quella impostagli dalla società civile. Il conto da pagare non può essere solo il carcere, dove alla fine ben pochi finiscono e ben presto escono. Deve esserci una condanna civile netta e inequivocabile. E quella compete ai cittadini. Non alla magistratura.