Cosa ci insegna la storia dei nostri emigranti

Venerdì 19 Giugno 2015
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Egregio Direttore,

mio nonno emigrò negli Stati Uniti poco più di un secolo fa. Fece il viaggio in nave e arrivò ad Ellis Island dove venne sottoposto a tutti i controlli che venivano fatti a quell'epoca. Il suo nome è presente nei registri consultabili via Internet. Avrebbero potuto respingerlo ma non lo fecero, perché gli Stati Uniti erano un Paese immenso che a quel tempo aveva bisogno di manodopera. Non mi risulta che sia vissuto a carico dell'amministrazione americana a 35 dollari al giorno o cose del genere.



Trascorse lì diversi anni come minatore. Poi tornò in patria dove con il denaro guadagnato acquistò un’azienda agricola. Paragonare migliaia di storie come questa a quelle degli africani che prendono il mare, vengono imbarcati sulle navi italiane (o europee) e trasportati gratuitamente in Italia, dove ricevono vitto e alloggio dallo Stato, ma ancora sono capaci di inscenare una manifestazione perché vogliono la tv satellitare per vedere la Coppa d'Africa, o peggio fanno perdere le proprie tracce e si mettono a delinquere, mi sembra francamente fuori luogo.




Alberto Bellio

Paese (Treviso)




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Caro lettore,

la memoria del nostro passato di migranti ci offre molti motivi di riflessione. Ne voglio però sottolineare due che mi sembrano di particolare attualità. Il primo: i flussi migratori fanno parte della storia dell'uomo e non si possono cancellare con un colpo di bacchetta magica. Vanno però affrontati e gestiti, con solidarietà ma anche con intelligenza come ci ha ricordato il Presidente della Repubblica. Il secondo motivo di riflessione è strettamente legato al primo: l'emigrazione è sempre un'esperienza dolorosa. I racconti dei nostri emigranti che sbarcavano a Ellis Island tra la fine dell'800 e i primi decenni del Novecento sono storie di speranza ma anche e soprattutto di grande sofferenza, di rinunce indicibili, anche di sopraffazione. Vicende umane culminate talvolta nel successo economico, in altri casi arenatesi nei meandri della piccola e grande malavita o nella marginalità delle metropoli. Tuttavia, pur in un contesto tanto diverso da quello attuale, una cosa appare evidente: gli Stati Uniti, un secolo fa, si posero il problema di come gestire quell'imponente flusso migratorio, di come organizzarlo e canalizzarlo nella società statunitense dell'epoca. Forse giova ricordare che da Ellis Island passarono ben 12 milioni di futuri cittadini statunitensi. Oggi l'Europa affronta invece l'imponente ondata migratoria che proviene dall'Africa senza una visione e una strategia, facendo prevalere egoismi e interessi nazionali. I paralleli storici sono sempre fuorvianti e naturalmente nessuno può proporre oggi una Ellis Island, seppur riveduta e corretta. Ma il problema, drammatico e cruciale, del vuoto di una strategia europea (e italiana) per fronteggiare e gestire l'emigrazione è sotto gli occhi di tutti.

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