​Brasile, una umiliazione storica,
ma non sparate sui tedeschi

Giovedì 10 Luglio 2014
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Caro direttore,

il 7-1 rifilato in semifinale dalla Germania al Brasile offre lo spazio ad alcune considerazioni, a partire da quella, se, per esprimere la propria superiorità, sia giusto umiliare l'avversario. Il bambino piangente, inquadrato dalle telecamere di tutto il mondo, assieme a milioni di brasiliani, si sentiva offeso dalle proporzioni di un risultato che non lasciava speranza alcuna, ma solo pubblico ludibrio, unito forse alla derisione generale. Un 3 o 4 a zero poteva essere sufficiente, ai tedeschi sarebbe bastato tirare i remi in barca e gestire la partita col possesso palla e il rallentamento del ritmo di gioco.



E invece no. È ancora vivo il ricordo della tennista Steffi Graf nella finale del Roland Garros del 1988, che in meno di un'ora inflisse un perentorio e spietato 6-0 6-0 alla bulgara Natasha Zvereva. L'impressione fu, anche all'epoca, che avesse esagerato. Se nel tennis possiamo parlare di "paura" della rimonta dell'avversario, nel calcio sul 5-0 non possiamo parlare della stessa "paura". A meno che non si tratti di una "paura" diversa, la paura di se stessi, quella di non essere o poter apparire sufficientemente "superiori".




Aldo Martorano

Venezia




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Caro lettore,

a parti invertite, sono convinto, che la Selecao carioca avrebbe fatto la stessa cosa: dominando gli avversari, senza sconti né incertezze. Solo che, in questo caso, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire o da rimproverare ai brasiliani. Il mondo, ammirato, avrebbe preso atto della loro inarrivabile e decantata supremazia calcistica.



La debordante vittoria della Germania invece fa riemergere antichi e mai sopiti pregiudizi anti-tedeschi: Muller e compagni sono colpevoli di aver voluto umiliare i poveri giocatori carioca. Diciamo la verità: i brasiliani sono stati commoventi nella loro incapacità di porre un freno all'armata tedesca. Sono crollati sotto una gragnuola di gol senza quasi reagire. Ma sono stati clamorosamente sconfitti per i loro limiti: tecnici, psicologici, di squadra.



Non per la volontà di sopraffazione della squadra avversaria, che ha giocato e vinto, come poteva e come doveva. Perché rispettare l'avversario significa giocare sul serio 90 minuti su 90, non sbeffeggiarlo e ridicolizzarlo palleggiando in modo inconcludente a centro campo. Lo sport in certi casi è spietato. Ad ogni latitudine.
Ultimo aggiornamento: 15:09