Riforma della scuola mal riuscita:
ecco perché non premierà i migliori

Lunedì 8 Settembre 2014
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Scrivo sull’ennesima “riforma della scuola”. Di questa non condivido pressoché nulla per svariati motivi. Tento di riassumerne alcuni.



Assunzione dei precari: Di per sé è un provvedimento encomiabile; non si tratta tuttavia di un atto di lungimiranza del governo bensì di uno sbocco obbligato che dovrà far seguito alla ormai praticamente certa sentenza della Corte Europea che entro il mese di settembre condannerà quasi certamente lo Stato Italiano per il mancato adeguamento della nostra normativa in tema di precariato scolastico; dunque una misura forzata che Renzi&co tentano di usare come mezzo di consenso elettorale attribuendosene furbescamente il merito. E se poi la pronuncia della Corte non dovesse essere di condanna c’è da aspettarsi un dietro-front anche sulla questione assunzioni. Scommettiamo?



Riformare la scuola, ma è proprio necessario? Ho sotto mano il “Rapporto statistico dei percorsi di crescita - 2014” distribuito dalla Regione Veneto. Da questo studio risulta che su tutti i parametri considerati (indagine OCSE-PISA sulle competenze in matematica, letture, scienza) gli studenti veneti hanno performance a livello dei migliori paesi europei. Ad un buon livello si piazza anche la riduzione del fallimento formativo precoce. In altre regioni non è così. Essendo il sistema scolastico unico e producendo in alcune realtà risultati buoni e in altre pessimi è sensato ritenere che il problema non vada ricercato nel sistema in quanto tale ma che altri siano gli ambiti su cui occorrerebbe lavorare. C’è dunque il rischio che la diagnosi sia sbagliata e, di conseguenza, anche la cura.



Renzi ha annunciato che due insegnanti su tre avranno diritto all’aumento di stipendio. Trattasi di un’affermazione senza capo né coda che nasconde unicamente la consueta mancanza di risorse. Come si può infatti stabilire a priori che due su tre sono quelli che meriteranno l’aumento? I “bravi” non potrebbero essere uno su due? E perché no quattro su cinque? In astratto, anzi, tutti i docenti potrebbero essere meritevoli oppure, per converso, nessuno potrebbe esserlo. Buttare lì dei numeri a caso significa solo fare le cose alla carlona. O meglio ragionare solo, e come sempre, in termini di risparmi.



Per restare in argomento, nonostante i continui peana sugli insegnanti sottopagati e bla, bla bla, i ventilati aumenti sarebbero comunque ridicoli (60 euro lordi al mese ogni due anni se ho inteso bene); e agli altri, ai presunti buoni a nulla, neppure quelli. E che dire sul fatto che il riconoscimento dell’anzianità che Renzi vorrebbe rottamare per sostituirlo con la “meritocrazia” vige in quasi tutti i sistemi scolastici del paesi europei?



Altra stupefacente scoperta: gli insegnanti saranno premiati in base ai corsi di formazione che frequenteranno. Il “bruto” criterio quantitativo della frequenza a corsi di formazione è già stato vissuto a fine anni ’90 quando per l’accesso ai gradoni successivi (= scatti stipendiali) occorreva aver frequentato un certo numero di ore di “aggiornamento”. Al tempo per ottenere l’agognato passaggio di livello frequentai, con chiaro intento polemico, i corsi di “addobbi natalizi” e di “training autogeno”. Nella malaugurata ipotesi che la riforma sia approvata mi aspetto un florilegio di corsi senza senso e senza ricaduta alcuna sulla qualità dell’insegnamento.



Veniamo al fondamentale nodo del chi e con quali criteri valuterà gli insegnanti. Se saranno i dirigenti è facile immaginare che più della bravura (ammesso e non concesso che tale variabile la si possa misurare) peserà il grado di fedeltà, chiamiamolo così, nei confronti del “capo”. Trattamenti differenziati a parità dell’unica cosa che nella scuola dovrebbe contare: la qualità del lavoro svolto in classe con e per gli alunni. Parità quando va bene perché, non di rado, i “fedelissimi” hanno molte cose più importanti del lavoro in classe da fare e questo, di conseguenza, ne risente. E visto che ci siamo, chi giudica i dirigenti?



Se a giudicare saranno gli “utenti” (alunni e loro famiglie) allora è facile preconizzare che gli insegnanti più meritevoli saranno quelli di manica larga. Con il conseguente corollario che molti, se non tutti, saranno portati ad allargare le maglie delle proprie valutazioni per non passare per fessi. L’insegnante è infatti prima di tutto un essere umano con tutti i pregi ma anche i difetti e le debolezze del caso.



Riforme calate dall’alto: Avevo la speranza di vivere in una democrazia fatta di regole condivise che tutti, per primo chi detiene il potere, rispettano. Una di queste regole è che i rapporti di lavoro sono disciplinati da contratti che si discutono e sottoscrivono fra le parti interessate. Scopro ora che, almeno per il settore pubblico, non è più così. Il novello ”imperatore” di turno decide di modificare in peggio la vita di migliaia di persone, sente, magari via internet o twitter, l’opinione di chiecchessia e poi forte della sua acritica e supina maggioranza decide comunque come gli pare. Alla faccia dei lavoratori e dei sindacati che quest’ultimi, ancora, rappresentano. Più che a una democrazia questo modo di procedere si avvicina a quello di un regime, di una dittatura della maggioranza. Tutti, Renzi per primo, si riempiono la bocca con la necessità di ridare dignità ad un lavoro che, per una nazione civile ed avanzata, dovrebbe essere tra quelli da tenere in massima considerazione. La nuova pomposa riforma va nel senso diametralmente opposto. Io, lavoratore della scuola, mi sento umiliato e preso in giro. E naturalmente farò il possibile per difendermi. Anche a costo di dedicare il mio tempo a rincorrere pseudo corsi di aggiornamento a scapito del lavoro in classe e di quello preparatorio a casa. Anche a costo di certificare che i miei alunni sono tutti dei geni, tutti meritevoli di prendere dal 10 in su. Se è questo ciò che il sistema per cui lavoro pretende da me non posso che, alla garibaldina, rispondere: Obbedisco!



Prof. Massimo Benà

Rovigo

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