Stato-mafia, Napolitano: con gli attentati si puntava a destabilizzare

Sabato 1 Novembre 2014 di Paolo Cacace
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
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ROMA L'operazione trasparenza è andata a buon fine. Giorgio Napolitano aveva chiesto che si procedesse con la massima tempestività alla

pubblicazione della sua testimonianza perché la pubblica opinione fosse rapidamente informata. E la richiesta è stata esaudita. La Corte di Assise di Palermo ha dato il via libera a tempo di record alla trascrizione dei verbali dell'udienza del 28 ottobre scorso. Così sul sito del Quirinale è stato diffuso in anteprima online il testo integrale dell'importante testimonianza del capo dello Stato al processo per la presunta trattativa tra Stato e mafia degli anni novanta.



Si tratta di 86 cartelle dattiloscritte nelle quali l'udienza, durata complessivamente tre ore, viene percorsa passo dopo passo. Napolitano risponde con prontezza a tutte le domande dei pm e delle parti civili e degli avvocati degli imputati, anche a qualcuna non ammessa dal presidente della Corte, Montalto. E va detto che non ci sono clamorose sorprese rispetto alle anticipazioni trapelate subito dopo l'udienza. Nel corso dell'udienza non si parla mai di una trattativa tra Stato e Cosa nostra. Ma Napolitano non si sottrae ad una valutazione dei fatti dopo gli attentati mafiosi del luglio 1993 e ne dà una lettura precisa: le stragi del '93 si susseguirono per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut aut.



GLI AUT AUT

Ma questi aut aut avevano come sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure carcerarie per i mafiosi o la destabilizzazione politico-istituzionale del Paese? «Era ed è materia opinabile», osserva Napolitano. Insomma il ricatto con la strategia stragista ci fu, ma il Presidente non conferma che ci fu un trattativa Stato-boss sul 41 bis. Né mai venne a sapere di patti del genere. D'altronde nelle sue funzioni di Presidente della Camera non era in grado di conoscere tutti gli aspetti della drammatica situazione che aveva indotto l'allora presidente del Consiglio Ciampi e il presidente della Repubblica Scalfaro a temere il rischio di un colpo di Stato. Certo, le minacce non furono sottovalutate, il black out a Palazzo Chigi poteva considerarsi «un classico ingrediente» di tentativi di golpe verificatisi in Paesi lontani dal nostro, ma - ripete Napolitano - «il fulcro della responsabilità» e delle decisioni da prendere non era in Parlamento.



LE CARTE DEL SISMI

Quanto alle carte del Sismi relative alle minacce di attentato di cui furono bersaglio lui e Spadolini (presidente del Senato), Napolitano ribadisce che fu avvertito dal capo della polizia Parisi ma che non fu turbato più di tanto.



Anche le risposte sui rapporti con il suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio - che occupano tutta la parte iniziale della testimonianza - confermano che Napolitano non sapeva nulla di più sugli «indicibili accordi» evocati dallo stesso D'Ambrosio nella famosa lettera del giugno 2012. Questi era ansioso ed indignato per le intercettazioni ma non disse mai di sentirsi «uno scriba» né spiegò i suoi timori. Napolitano traccia un alto profilo morale del suo consigliere e rivela che un membro della sua famiglia (una figliola) aveva ricevuto minacce di morte nel passato. Di estremo interesse, infine, un passaggio dell'udienza in cui Napolitano spiega come si trovi lungo una «linea sottile»: «Quello che non debbo dire non perché abbia qualcosa da nascondere, ma perché la Costituzione prevede che non lo dica e quello che intendo dire... per dare il massimo di trasparenza al mio operato e il massimo contributo all'amministrazione della giustizia». Il dilemma di questa testimonianza sta tutto qui, ma il Colle da oggi può voltare pagina con serenità.



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Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 13:19

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