Caos Consulta, due segnali contro il patto dei leader

Venerdì 19 Settembre 2014 di Giovanni Sabbatucci
Il susseguirsi inesorabile delle fumate nere nell’elezione dei nuovi membri della Consulta e del Csm ha un significato politico che va ben al di l della vicenda specifica, pure seria e allarmante in s.



La mancata elezione, infatti, non solo compromette, come già accaduto in passato, il regolare funzionamento di due organi di rilievo costituzionale, ma rischia, in assenza di una rapida soluzione, di paralizzare i lavori dello stesso Parlamento, proprio nella fase in cui le assemblee elettive dovrebbero tradurre in dispositivi di legge le tante (troppe?) riforme messe in cantiere dal governo.



Governo che si giocherà nei prossimi giorni e settimane la partita più rischiosa fra quelle affrontate sinora. Non è questione di tempi troppo stretti o di quorum troppo elevati (a proposito: sarebbe interessante sentire il parere di chi a suo tempo, in sede di dibattito costituzionale, invocava una più larga applicazione delle maggioranze qualificate e ora protesta contro le intese trasversali che, come ha ricordato il capo dello Stato, di quelle maggioranze sono figlie legittime e conseguenze inevitabili).



E nemmeno si tratta della cronica indisciplina di deputati e senatori, renitenti per mille ragioni, alla disciplina di partito, quando coperti dal segreto dell’urna. L’ostinata azione di disturbo di un nutrito drappello di franchi tiratori dell’uno e dell’altro schieramento suona inequivocabilmente come un rifiuto del patto del Nazareno, ossia dell’asse istituzionale Renzi-Berlusconi; e, più in generale, come un’esplicita minaccia agli equilibri alquanto precari su cui si regge l’esecutivo.



La minaccia potrebbe concretizzarsi nel momento in cui, superato in un modo o nell’altro lo scoglio delle votazioni su Corte costituzionale e Consiglio superiore, le Camere saranno chiamate ad affrontare il corposo pacchetto delle riforme: alcune già a metà strada, altre bisognose di ulteriore definizione, altre ancora allo stadio di annuncio. Una in particolare, il Jobs Act, vede il partito di maggioranza seriamente diviso. È, a detta di molti, la riforma più urgente, quella che dovrebbe avvalorare agli occhi delle autorità europee l’impegno liberalizzatore e modernizzante del governo. Ma è anche la più difficile da far digerire non tanto alla base del Pd, quanto a una parte rilevante del suo gruppo dirigente e della sua rappresentanza parlamentare, legata per cultura, tradizione ed esperienze personali, al mondo delle grandi organizzazioni sindacali ora sul piede di guerra.



Se non riuscisse a recuperare la dissidenza interna, Renzi potrebbe far passare il suo progetto grazie al soccorso azzurro, già dimostratosi decisivo sulle riforme istituzionali ed elettorali. Ma in questo modo si troverebbe ingabbiato in una maggioranza politica di grande coalizione che lui per primo ha sempre rifiutato e che potrebbe costargli cara in termini di consenso.



Insomma, il presidente del Consiglio si trova a dover affrontare tutti in una volta i nodi e le tare originarie che hanno presieduto alla nascita e ai primi mesi di vita del suo governo: prima fra tutte, l’impossibilità di contare su una rappresentanza parlamentare da lui selezionata e a lui direttamente legata perché nata da una comune vittoria nelle urne (quella delle europee è stata importante, ma formalmente non conta ai fini della politica nazionale). Poi l’ingorgo tra riforma del Senato e riforma elettorale, che lo ha privato di una credibile arma di deterrenza nei confronti di oppositori e dissidenti.



C’è però almeno un fattore che gioca a favore di Renzi: lo scenario che si aprirebbe in caso di crisi nei prossimi mesi. Ripartenza da zero, o quasi, sulle riforme. Probabile ricorso a nuove elezioni (anche del vecchio e ormai delegittimato Senato) col proporzionale puro disegnato dalla sentenza della Consulta. Difficoltà di rimettere assieme una maggioranza qualsivoglia, e anche di eleggere un nuovo presidente della Repubblica. Con l’economia che non riparte e il clima internazionale che tende al tempestoso, una rottura degli equilibri politici seguìta da una nuova e agitata transizione non è certo scenario da evocare a cuor leggero.
Ultimo aggiornamento: 20 Settembre, 00:59

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci