Articolo 18. La delusione degli industriali: ci aspettavamo più coraggio

Mercoledì 1 Ottobre 2014 di Giusy Franzese
Raccontano che ai piani alti di viale dell'Astronomia l'altro pomeriggio fossero incollati ai video per seguire in diretta streaming l'intervento del premier alla direzione del Pd. Non c'era il presidente Squinzi, ma le linee operative subito sotto di lui erano lì, pronte a prendere appunti. Raccontano anche che, quando Renzi parlando del superamento dell'articolo 18 ha salvato la possibilità del reintegro per i licenziamenti disciplinari ingiustificati, sono rimasti tutti basiti. Non se l'aspettavano, soprattutto dopo gli annunci roboanti (anche troppo) fatti fino alla sera prima. Certo, abolire il reintegro anche per i licenziamenti economici insussistenti, è un passo avanti rispetto alla legge Fornero. Ma è anche un passo indietro rispetto alle intenzioni annunciate. E ora il timore è che l'istinto riformista del premier possa attenuarsi, perdersi tra le nebbie dei compromessi e delle mediazioni. Che fine ha fatto - si chiedevano delusi a viale dell'Astronomia - quel Renzi che due settimane fa si rivolgeva in un video al Paese per replicare a chi lo accusava di essere la nuova Thatcher?



Il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, aveva assicurato: «Non accetteremo soluzioni pasticciate». Il dubbio ora sembra lecito. «È un film già visto. Tra un passaggio parlamentare e l'altro, tra emendamenti appositamente vaghi e decreti attuativi imprecisi, alla fine si rischia che anche il reintegro per i licenziamenti economici in qualche modo rientrerà dalle finestre dei tribunali. E l'incertezza continuerà a regnare sovrana. Ci aspettavamo più coraggio» osserva una fonte.



ANTENNE DRITTE

Per dare una scossa positiva all'occupazione, per convincere gli imprenditori italiani ma anche quelli esteri a investire e assumere - ieri l'ennesima classifica che ci mette agli ultimi posti per attrattività - servono regole più semplici e un taglio alla burocrazia inutile. Basterà l'annunciata migliore «definizione dei confini» fatta sia da Renzi che da Poletti dei casi di reintegro (per discriminazione e per motivi disciplinari) a dare questa maggiore certezza? Mettere a punto una casistica esaustiva è difficile, resta sempre il rischio che qualcosa rimanga fuori. E sarà sempre preferibile il contratto a tempo determinato.



Per ora però sono solo “umori”. Nessuna valutazione ufficiale. Prima di esprimere un giudizio Confindustria vuole capire dove effettivamente si andrà a parare. E per questo servono i testi: dell'eventuale nuovo emendamento governativo ma anche dei decreti delegati. Ma le preoccupazioni non si limitano all'articolo 18. Antenne dritte anche per lo sfoltimento dei contratti: più che ridurre la flessibilità in entrata - è il ragionamento - sarebbe opportuno combattere gli abusi. E infine l'ipotesi di trasferire una parte del Tfr in busta paga: tutti sanno che le imprese utilizzano questi soldi per una maggiore disponibilità di liquidità.



Le piccole, alla sola idea, tremano. Ma anche quelle sopra i 50 dipendenti (dove già ora il Tfr o va ai fondi previdenziali o è gestito dall'Inps) sono perplesse: come si concilia questa ipotesi con la volontà di far crescere i fondi previdenziali? E poi: l'Inps gestisce un flusso annuale di quasi 6 miliardi di euro, toglierne anche la metà, significa creare “un buco” nei conti di 3 miliardi. Insomma, quello che preoccupa Confindustria è il pericolo di un percorso altalenante, il rischio che non si riesca a completare quella svolta in grado di far ritornare in pista il Paese.
Ultimo aggiornamento: 08:13

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