Pilota Protezione Civile: sorvolai
Chignolo, il corpo nel campo non c'era

Martedì 23 Settembre 2014
Yara Gambirasio
4
BERGAMO - Dopo i dubbi sollevati dal tipo di prove a carico di Massimo Giuseppe Bossetti, presunto omicida di Yara Gambirasio, tornano in mente le parole del gip di Bergamo, Ezia Maccora. Rifacendosi alla relazione dei Ris, nel respingere l'istanza di scarcerazione di Massimo Bossetti, aveva definito 'ottima' la traccia di Dna trovata sul corpo della tredicenne, "essendosi conservata grazie al tipo di indumenti su cui stata ritrovata, gli slip e il leggins, meno esposti e quindi pi protetti dagli agenti esterni".

È quella traccia che i legali di Bossetti intendono contestare nel loro ricorso al Tribunale del Riesame di Brescia con altri elementi che il gip non avrebbe preso sufficientemente in considerazione. Gli accertamenti tecnici, per il giudice "non possono essere messi in discussione, in assenza di argomentazioni scientifiche contrarie". Tra gli elementi che il gip non avrebbe preso in considerazione, anche il traffico telefonico: secondo un documento Vodafone depositato agli atti, l'ultima cella agganciata da Yara non è quella di Mapello, dove Bossetti abita, ma quella di Brembate, dove si trovano la casa della ragazza e la palestra dalla quale scomparve il 26 novembre del 2010 per essere trovata uccisa tre mesi dopo in un campo di Chignolo d'Isola, a pochi chilometri di distanza. Questo 'allontanerebbe' Bossetti da Yara in quel tragico pomeriggio.





LA TESTIMONIANZA DEL PILOTA Ivo Rovedatti, il pilota della Protezione Civile che fu il primo ad alzarsi in volo per cercare tracce di Yara Gambirasio, scomparsa il 26 novembre 2010 a Brembate, afferma di non aver mai visto il corpo della ragazza nel campo di Chignolo d'Isola in tutte le ore in cui l'ha sorvolato. "La domenica 28, pur con una visibilità non perfetta e con il terreno coperto da spruzzi di neve, ho volato a lungo e naturalmente sono passato più volte, a volo radente, sopra quel campo - spiega in un'intervista al settimanale Oggi in edicola da domani .- Non c'era nulla. Gli spruzzi di neve non potevano nascondere un corpo. Avessi visto qualcosa di sospetto sarei atterrato per controllare". Rovedatti spiega di aver sorvolato il campo decine di volte con il suo elicottero: "In tre mesi ho fatto almeno 30 ore di volo per cercare Yara. Sopra quel campo ci si passa sempre perché è un corridoio obbligato dopo il decollo dalla pista del Volo a vela di Valbrembo. Volando a una quota di 150 metri e a una velocità bassissima di 10 nodi il corpo della ragazza non poteva sfuggirmi, non posso non averlo visto malgrado le sterpaglie. La visione dall'alto è tutta un'altra cosa rispetto a chi lo attraversa a piedi. Difficile ti sfugga anche la più piccola macchia di colore. E io, con gli altri operatori che si alternavano al mio fianco sull'elicottero, cercavo una macchia nera perché la Protezione civile aveva segnalato che Yara indossava un giubbino di quel colore e una felpa azzurra".







Aggiunge il pilota, che ha 10 mila ore di volo alle spalle: "Un giorno d'inizio febbraio del 2011 ho visto una cosa nera. Sono sceso in autorotazione e mi sono tranquillizzato solo quando le pale dell'elicottero lo hanno fatto volar via. Era un sacco di plastica. A 100 metri di distanza è stato trovato il corpo di Yara. Eravamo in due: come possiamo non averla visto?".
Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 16:14

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci