Bob Rifo, alias Bloody Beetroots:
«Cara Italia, non sai quanto vali»

Lunedì 10 Marzo 2014 di Giò Alajmo
Bloody Beetroots
JESOLO (VENEZIA) - Il tritacarne di Sanremo è ormai alle spalle e l’uomo misterioso del Festival 2014 torna al suo ambiente naturale. L’altra notte si sono accalcati in 1500 al Muretto di Jesolo per ballare curiosi con il dj dalla maschera.



Sir Bob Cornelius Rifo, nome d’arte che sostiene il progetto The Bloody Beetroots, ovvero ancora se stesso ma libero dall’originario connubio con Tommy Tea, il dj con cui anni fa aveva dato vita al duo elettrodance.



Nella natìa Bassano «pochi sanno cosa faccio e chi sono e se anche sanno qualcosa non ci credono fino in fondo, ma ci torno sempre volentieri», dice. Nella storica discoteca jesolana c’è Elisa Bee a scaldare l’ambiente con l’impianto che inizia a pulsare alle 12.30. Come un fantasma mi trovo Bob Rifo seduto sulla sedia un attimo prima vuota che mi guarda e sorride. Senza maschera. Vestito di nero, orecchino a croce al lobo dell’orecchio, fisico minuto, capelli rasati e occhi scuri e vivi, il sorriso incorniciato nella barbetta rada. «Sanremo è stata una parentesi breve, divertente, un’esperienza sociologica - racconta - e per me l’importante era fare musica e portare una piccola novità in un festival che non si rinnova da anni».



La Caselli e Gualazzi come ti hanno trovato?

«Amo incontrare le persone e mi è capitato di trovare la Caselli e passare una mezza giornata a parlare con lei. Dopo sei mesi mi ha chiamato per propormi Sanremo, e l’idea mi è piaciuta».



Ma Sanremo e il mondo della dance elettronica sono agli antipodi!

«Anche i Bloody Beetroots sono un ossimoro. C’è il progetto dj set ma si va anche sul palco a suonare live con gli strumenti. Si salta di palo in frasca continuamente, si mettono insieme cose in antitesi, mescolandole insieme e facendole avvicinare. Con Gualazzi abbiamo scoperto un terreno comune legato al suono Motown e alla disco music alla Donna Summer e io ho cercato di trasferire il suo stile nella contemporaneità direi con un successo clamoroso».



La figura del dj nasce dal ragazzino sfigato che alle feste metteva su i dischi, ora invece è la star della festa. Com’è questa storia?

«È vero! Il ruolo è cambiato e il dj è sempre più una rockstar e sempre meno il selezionatore di dischi. A me inoltre questo ruolo consente di rinnovarmi come Bloody Beetroots, studiando gli umori della gente, sperimentando soluzioni. In questo mondo devi rinnovarti ogni sei mesi».



Nato nel 1977, l’anno del punk e data che porta tatuata sul petto, Bob Rifo ha pubblicato due album come The Bloody Beetroots. Due milioni di copie vendute con il primo "Romborama", una interessante catena di collaborazioni per l’ultimo "Hide", da Paul McCartney a Tommy Lee dei Motley Crue, a Peter Frampton, Penny Rimbaud dei Crass: «Le collaborazioni nascono da varie amicizie. In studio stavo lavorando con Youth dei Killing Joke che mi chiese che nomi mi sarebbe piaciuto coinvolgere ed è venuto fuori Paul McCartney. Youth lavorava con lui con lo pseudonimo di Fireman e pensammo di proporgli un remix di uno dei loro brani. Ma cominciai a cambiare armonia, suoni, ritmiche e alla fine lui la sentì gli piacque molto e chiese se poteva ricantarla di nuovo. Così ci invitò nel suo studio e nacque "Out of sight"».



Bob Rifo oggi vive prevalentemente a Los Angeles. La sua musica si ascolta nei videogiochi, in spot televisivi, come colonna sonora di telefilm, perfino nella sigla tv delle Olimpiadi di Sochi. «A settembre arriverà una nuova serie tv con Denzel Washington che usa musiche mie», anticipa.



Si può dire ci sia una scuola veneta di musica elettronica da discoteca pensando a Spiller, Mauro Ferrucci, Bloody Beetroots, Tommy Vee e altri?

«Qui in Veneto ci sono state discoteche storiche come il Matilda di Jesolo, e altri locali importanti che hanno creato forse una scuola. Molti dall’estero sono venuti qui a studiare e imparare. Ferrucci ha portato la sua etichetta a essere conosciuta nel mondo, e si esporta molto, anche se è difficile penetrare il mercato italiano così legato alla musica autorale. E in Veneto sono nati anche Double Dee e DB Boulevard che un tempo andavano fortissimo».



Bloody Beetroots tornano ora nel loro mondo, con la maschera di Venom dagli occhi da mosca luminosi che è ormai il segno distintivo di Bob Rifo. In programma un giro del mondo di concerti e dj set dagli Usa all’Australia, dalla Germania alla Corea, dalla Svezia al Sudamerica, dall’India al Giappone, con una tappa in Italia il 5 luglio al Kappa FuturFestival di Torino.



Ma noi italiani ancora siamo così forti e ricercati nel mondo anche in un campo così misconosciuto in patria?

Lo sguardo si fa intenso e la voce più bassa: «Noi non abbiamo idea del valore che l’Italia ha davvero nel mondo. Chi resta qui e non esce dai confini non sa quanto l’Italia sia apprezzata e in quanti campi. È che qui va ricostruita la cultura del paese, che è a pezzi». Poi il piccolo bassanese indossa la sua maschera e si dirige verso la consolle. La musica riparte pulsante e la folla gli si fa intorno, danzando, fotografando, anche le due cose insieme, nel pieno del sabato notte.
Ultimo aggiornamento: 15:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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