Al francese Bertrand Tavernier il Leone d'oro alla carriera

Martedì 8 Settembre 2015
Al francese Bertrand Tavernier il Leone d'oro alla carriera
VENEZIA - «Sono fiero di aver fatto i film che volevo. Sono tutti nati da mie scelte, non ho mai accettato compromessi. Quando a 13 anni ho deciso di diventare sceneggiatore non pensavo di avere questa vita straordinaria. Lascerò ad altri il compito di definirmi». Lo dice con passione e franchezza Bertrand Tavernier, che oggi ha ricevuto alla Mostra del Cinema di Venezia il Leone d'oro alla carriera, al termine della proiezione di uno dei suoi capolavori, La vie et rien d'autre (1989), interpretato dal grande amico e attore feticcio Philippe Noiret.



«Il primo grande riconoscimento di questo tipo viene dall'estero, anche se in Francia ho vinto quattro Cesar, il premio Delluc... non posso dire di non essere stato apprezzato. Certo, sono profondamente colpito dal ricevere Leone d'oro alla carriera dal Paese che ha contribuito moltissimo al mio amore per il cinema, con Rossellini, Fellini, Dino Risi, Ettore Scola, il mio grande amico Mario Monicelli. Una mia aspirazione era riuscire a fare un film bello come La vita difficile di Risi, o Germania anno zero di Rossellini». Il cineasta, nato nel 1941 a Lione, figlio di René Tavernier, filosofo, poeta e capitano nelle forze di Resistenza che liberarono la città («mi ha sempre stupito, non sapeva tenere un fucile in mano»), in oltre 50 anni di cinema ha vinto, fra gli altri, l'Orso d'argento a Berlino per la sua opera prima L'orologiaio di Saint-Paul (1974) e l'Orso d'oro nel 1995 per L'esca.



Secondo lei la Francia è un Paese finito, come ha detto ieri qui Fabrice Luchini?

«Guardando al governo terribile che abbiamo, la sensazione è quella, ma c'è anche la gente vera, quella che vive in provincia e che conosco molto bene. Danno esempi concreti di fede e amore, come le persone che in Borgogna hanno creato un piccolo centro d'assistenza per gli immigrati. Gente che appartiene alla Francia popolare, l'unica che è sfuggita al Fronte Nazionale».



«Qui a Venezia ci sono due film francesi in concorso molto belli, Marguerite e L'hermine. Nel cinema francese ci sono cose straordinarie e altre che mi fanno arrabbiare come certe commedie bruttissime, ma succede dappertutto. Quando vedo un film bello, ne perdono 15 brutti».



Nel suo cinema, spiega, non parte mai «da un tema, ma dalle storie delle persone - dice -. È vero però che certi elementi risultano particolarmente attuali.
Ad esempio c'è chi considera Capitan Conan (ambientato sul fronte balcanico nel 1918, ndr), il più bel film sulla guerra in Vietnam o in Iraq». Quando gli chiedono un ricordo di Philippe Noiret (scomparso nel 2006, ndr), la prima reazione è un sorriso: «È grazie a lui che faccio cinema. Quando volevo fare il mio primo film, ha ricevuto un giovanotto di 29 anni, e ha accettato, restando legato al progetto nonostante ci siano voluti tre anni prima di trovare le risorse. Era un gentleman, un uomo con cui mi sono molto divertito. Aveva un concetto del proprio mestiere fortissimo, un'educazione e un rispetto per gli altri formidabili. Era anche molto malato, poteva appena camminare, ma quando recitava a teatro si alzava e correva. Gli chiedevo come facesse e lui mi rispondeva 'li' recito un ruolo'».
Ultimo aggiornamento: 9 Settembre, 10:52

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