Storia di una ricercatrice “dimenticata”. Storia di un Nobel mancato.
Storia di una donna che la Scienza non ha raccontato. Filomena Nitti nasce a Napoli nel gennaio 1909. Ultima di cinque figli. Sua madre è Antonia Persico, figlia del giurista cattolico Federico Persico. Suo padre è Francesco Saverio, economista, ministro nei governi Giolitti e Orlando. Presidente del Consiglio tra il 1919 e il 1920. Quando Mussolini prende il potere l’ex Presidente del Consiglio lascia l’Italia e si rifugia a Zurigo con tutta la famiglia. Filomena si sposta a Parigi, prima liceale e poi studentessa universitaria. Si laurea in Scienze Naturali e comincia a lavorare a Mosca come analista chimica per le farmacie. Si sposa, ha due figli e si separa. Siamo nella seconda metà degli anni Trenta. Il marito, Stefan Freund, trascura Filomena e i ragazzi, dissipa le loro risorse fino a costringerla a rompere il matrimonio. È tempo di rifare i bagagli e tornare a Parigi.
Conosce il biochimico Daniel Bovet ed è subito amore: i due non si separeranno mai più, condividendo tutto, dalla vita professionale a quella sentimentale convolando a nozze in meno di un anno. Nasce un figlio, Daniel-Pierre. Filomena, Daniel e Federico studiano la penicillina, mettono a punto il primo farmaco antistaminico, prepararono 200 mila fiale di siero antitetano e una tonnellata di sulfamidici per i soldati al fronte. Per questo impegno civile soltanto Daniel Bovet riceverà una medaglia al valore. È il primo smacco professionale che riceve Filomena. Finita la guerra si presenta l’opportunità di tornare in Italia. Il trio di ricercatori decide per il sì, al laboratorio di Chimica terapeutica dell’Istituto Superiore di Sanità a Roma. «Il ritorno in Italia fu un fatto naturale, addirittura già previsto nel mio contratto di matrimonio» dichiara la Nitti durante un’intervista nel 1989. Il patto era quello di collaborare alla ricostruzione dell’Italia e contribuire allo sviluppo della ricerca in ambito biomedico. Solo Filomena e Bovet, però, arriveranno perché Federico muore di tubercolosi. Forse contratta studiando i ceppi del batterio coltivati in laboratorio a Parigi. In Viale Regina Elena 299, al sesto piano dell’Istituto, i coniugi continuano a lavorare insieme: studiano anestetici, rilassanti muscolari, una serie di sostanze attive sul sistema nervoso centrale. La loro fama supera i nostri confini. È in questo periodo che la ricercatrice, oltre a formare le giovani leve, si dedica al sociale per combattere l’analfabetismo. Nel tentativo di riscattare le penose condizioni del Sud post bellico. Il suo Sud. Nel 1948 Nitti e Bovet pubblicano un manuale battezzato come “Bibbia della farmacologia”, nel quale i due ricercatori spiegano i meccanismi d’azione di diversi farmaci allora conosciuti. Un volume di 800 pagine. Anni intensissimi di lavoro, viaggi, sperimentazioni, pubblicazioni e plausi dal mondo scientifico mondiale. Tanto che nell’ottobre del 1957 l’ambasciatore della Svezia in Italia va a casa dei coniugi Bovet a Roma per comunicare ufficialmente il conferimento del Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia a Daniel Bovet. Solo a lui, anche se le ricerche erano firmate da lei e da lui.