La Banca popolare del frusinate ha deciso di “accantonare” prudenzialmente 19 milioni di euro per fronteggiare eventuali insolvenze da parte delle aziende coinvolte nell’indagine sulla truffa per il superbonus.
IL SISTEMA
In pratica le aziende coinvolte intendevano acquistare un immobile, presentavano la pratica in banca e tra le garanzie fornivano contratti di locazione già in essere, ai quali però aggiungevano degli “zeri”. Il tutto, sempre secondo l’accusa, con il benestare dell’allora direttore generale e amministratore delegato dell’istituto che nel frattempo ha rassegnato le dimissioni. Sin dal primo istante la banca ha riferito che non c’erano rischi per i risparmiatori e soprattutto che quelle operazioni erano comunque ampiamente garantite. Solo che, in via prudenziale, ora è stato deciso di accantonare dei fondi qualora le società coinvolte - che hanno subito dei sequestri ancora in fase di valutazione - non dovessero pagare le rate. Ci si preoccupa - giustamente - del rischio di insolvenza di quelle aziende.
LE CARTE
L’indagine ha un filone secondario sul quale gli investigatori mantengono stretto riserbo, ma intanto sono emersi dai documenti altri passaggi singolari, riferibili a società gestite di fatto dall’imprenditore Angelo De Santis, uno dei più esposti nell’inchiesta. Ad esempio la società “Canadian” ottiene il mutuo su un immobile di via Tiburtina, a Roma, intervenendo all’asta da sola e cedendo in garanzia un contratto d’affitto per 440.000 euro, quando in realtà risulta di 170.000. Discorso che ha un aspetto simile per un altro immobile su via Salaria, acquistato sempre all’asta ma dalla “Genny”, dove a garanzia viene posto un contratto d’affitto di 9 anni che nel frattempo era stato risolto dal custode giudiziario. Immobile per il quale, anche qui, interviene all’asta una sola azienda, si aggiudica il compendio a circa la metà del valore di perizia, ma soprattutto c’è una lettera dell’Agenzia del Demanio che non viene presa in considerazione. Nel documento si sottolinea come alcune delle particelle dell’immobile poi finito alla “Genny” «appartengono al Demanio pubblico dello Stato-ramo idrico e come tali sono inalienabili e inusucapibili». Come siano stati possibili tali passaggi, è argomento che gli investigatori continuano ad approfondire. L’inchiesta sui presunti raggiri promette ulteriori sviluppi.